Artista pistoiese classe 1979, ha frequentato gli studi presso l'istituto d'arte Petrocchi di Pistoia, diplomandosi nel 2000 diventando maestro d'arte in metalli e oreficeria. Ispirandosi a Andy Warhol e Mimmo Rotella da alcuni anni ha concentrato il suo lavoro sulla riflessione intorno ai linguaggi condivisi nella società contemporanea. Massimo si allontana dalla condizione di intellettuale elitario e con il suo operare ridefinisce il ruolo dell'artista come medium di una società, voce critica, ma comunque interprete di un sentire condiviso. Massimo sceglie, fra le infinite sperimentazioni consegnateci dai maestri della Modernità, quelle capaci di interloquire con strati diversificati di socialità, parte con chiari riferimenti all'esperienza Pop, si concentra su volti e figure iconiche e su queste interviene con gli strumenti dell'operatore visivo, come aveva già sperimentato Warhol. Ma le analogie finiscono qui. Non è più sufficiente denunciare l'aspetto mistificante della società dei consumi, con la globalizzazione occorrono strumenti di analisi più sottili e articolati. Massimo costruisce mappe concettuali complesse per orientare la riflessione e suggerire ulteriori percorsi critici. Nelle sue opere collage e decollage si uniscono a manipolazioni in fase di stampa e a interventi pittorici che ripropongono gli strumenti classici della composizione, e dell'equilibrio cromatico; niente è ready-made strappato al quotidiano: anche quando ricicla tappi di bottiglia li manipola trasformandoli in tessere di mosaico, tappi, strasse e frammenti di cristalli portano al combine-painting, ma solo per rafforzare l'energia espressiva delle immagini costruite. Riconosciamo subito il volto di David Bowie o di Sophia Loren, ma è il magma indistinto di frammenti iconografici che li compongono (o scompongono?) ad innescare un corto circuito che moltiplica le associazioni ed i richiami. Vari echi si intersecano e vanno a rendere ancora più polimorfa la natura dell'immagine, insieme e frammenti perdono la loro matrice originaria ed acquistano un’identità altra. Potremmo lasciarci attirare dai miti popolari che Massimo Chiti ci propone ma poi guardare i suoi lavori come tavole da meditazione dove ricercare ossimori e palindromi per costruire ulteriori connessioni di senso del tutto personali.
[Roberto Agnoletti]