La lezione bergsoniana ci insegna che oltre al tempo cronologico scandito dalle lancette dell’orologio, esiste un tempo interiore illimitato e non misurabile dove ogni cosa − ricordi, emozioni, percezioni − coesiste in un eterno presente. Entrambe queste dimensioni temporali convivono nell’opera di Marcello Brotto come specchi di un mondo in cui nulla è come sembra. La presenza di alcuni leitmotiv − orologi, numeri, macchine, barili, vecchie fabbriche − suggerisce l’idea di un tempo inarrestabile, in continuo divenire, un tempo che fugge e consuma le cose lasciando dietro di sé nient’altro che reliquie. Al contrario, il paesaggio naturale sullo sfondo, costellato di montagne, nuvole, strade deserte, indica il tramutarsi del tempo in materia, memoria, solidità di cose che durano al di là dell’esperienza contingente. Quello che potrebbe sembrare un mondo pietrificato, immobile, abbandonato dall’uomo, nasconde invece la più alta vocazione della pittura: sfidare il tempo, il suo divenire inesorabile, consegnando allo spazio dipinto frammenti di vita destinati a durare per sempre nella finzione pittorica. Si tratta quindi di un’acuta quanto raffinata riflessione sulla percezione del tempo dentro e fuori dell’uomo ma anche dentro e fuori la realtà dipinta, immagine traslata di ciò che siamo e che vorremmo essere, del senso che costantemente sfugge nella vita di ogni giorno e che la pittura invece ci restituisce con la sua aspirazione all’eterno.
[Daniela Pronestì]