L’idea del recupero di materiali prelevati nel quotidiano assume, nell’opera di Luciano Barale, il valore di un’operazione allo stesso tempo “etica” e poetica, nella misura in cui recuperare significa anzitutto contrapporre all’ipertrofia consumistica la riqualificazione estetica dell’oggetto. Quella posta in essere da Barale, infatti, è una risignificazione dei materiali sia attraverso le modalità del ready - made o dell’object trouvé di matrice surrealista, e quindi con una “presentazione” dell’oggetto in tutta la sua risonanza simbolica − si pensi ai tubetti di colore spremuti e posti al centro del supporto come emblemi di un’esperienza pittorica ormai esaurita nelle sue modalità tradizionali −, sia attraverso tecniche di assemblage, rielaborazione e trasformazione dei materiali all’interno di opere astratto-geometriche, paesaggi d’invenzione o composizioni che rimandano alla natura. In entrambi i casi, l’oggetto vive una seconda vita nella quale all’originale funzione subentrano valori artistici come forma, colore e segno. Un modo di fare arte, quindi, abbandonando l’illusionismo della rappresentazione pittorica e servendosi della “realtà” per avviare una riflessione sull’autentica natura delle cose, sul loro significato e sul lavoro dell’artista. Il concetto stesso di “quadro” come oggetto unitario e formalmente compiuto viene in larga parte superato per trasformare la cornice in un contenitore di frammenti, di singole parti assemblate dall’artista in modo da mostrare la verità delle cose anziché limitarsi ad imitarla.
[Daniela Pronestì]