Astrazioni Armoniche di Alessandro Ciantelli

Negli spazi espositivi di Artistikamente Alessandro Ciantelli ci propone il suo lavoro degli ultimi anni assieme ad una selezione di opere dei due decenni precedenti, non solo per render più comprensibile l'evoluzione del suo linguaggio personale (che potrebbe esser considerato reazione ai cambiamenti del contesto sociale più generale), ma anche perché il nostro autore torna sovente a rileggere e reinterpretare sperimentazioni precedenti in un percorso pendolare tra innovazione e continuità. Percorso che ci spinge a ribadire quanto sia problematico consegnare l'opera di un artista alle classificazioni di genere e di stile linguistico che, da una parte semplificano e favoriscono la lettura da parte del pubblico, dall'altra corrono il rischio di ostacolare la percezione di letture diversificate.

Alessandro si è formato negli anni '70 del secolo scorso nel clima di quell'espressionismo che caratterizza gli esiti del neorealismo e giunge progressivamente ad un'astrazione dove la semplicità iconografica riassume e condensa una pluralità di fonti d'ispirazione e di linguaggi di riferimento che evocano molteplici affinità e altrettanti distinguo, sia nei confronti degli artisti locali che del panorama nazionale.

In occasione di una esposizione monografica (2018, Sale affrescate del Palazzo Comunale di Pistoia), presentando un cinquantennio del lavoro di Ciantelli, è stata evidenziata "la caparbia volontà di Alessandro di contribuire, con la sua pittura, alla conservazione della memoria di quella civiltà contadina che lo ha allevato e nutrito […] registrando sulla tela, con puntigliosa attenzione, i momenti di disfacimento culturale, ma anche materiale, di campi e case, redole e fossi, animali e cristiani, che piano piano sparivano sullo sfondo lasciando il campo ad una «modernità» senza carattere né anima...". Si evidenziava la sua volontà di far emergere una sorta di "genius loci" della sua terra natia, dove memorie di paesaggi e di strumenti della cultura materiale venivano evocate attraverso campionature e semplificazioni geometriche, dove il particolare stava per il tutto e dove la memoria visiva dell'osservatore veniva forzata ad attivarsi, sollecitata non dalla figura ma da semplici schemi iconografici. Ecco che così i caldi colori stesi in grasse pennellate secondo un'alternanza di verticali e di spezzate divenivano capaci di evocare la memoria (o la visione?) di un campo di mais maturo, con le pannocchie già in procinto di disvelare i grani attraverso il cartoccio. Le semplici campiture geometriche richiamavano alla compatta volumetria di una casa colonica in vetta ad un dosso, a sua volta segnato dalla partizione dei campi alternativamente arati o lasciati a riposo. Come negare che le spatolate di colore uniformemente oblique fossero capaci di evocare la minuta ricchezza botanico-floreale di un campo di erba medica mista alle spontanee? Colori e trame che rimandano alla memoria dell'arazzo millefiori conservato nel locale museo diocesano.

Dopo il viaggio in Normandia del '19 sono comparsi paesaggi marini, quasi fauves, ma anch'essi ridotti a semplici geometrie. Quasi che la scoperta dell'orizzontalità, rispetto alle morbide curve che caratterizzano i tanto amati paesaggi toscani, sia stata una ulteriore spinta verso la geometrizzazione del pretesto naturalistico per arrivare all'astrattismo. Percorso ben documentato in una personale, non a caso, intitolata «verso l'astrazione» (2020, Biblioteca San Giorgio di Pistoia).

Oggi Alessandro si rivolge a noi osservatori-fruitori con coerenza di un lavoro che evidenzia le molteplici declinazioni di un modus operandi con radici nella gestalt e nel design, ma che sa evocare anche immagini della storia dell'arte. Un lavoro con il quale l'artista cerca di interpretare l'anima della società, trasmettendo al contempo ai suoi componenti una nuova opportunità di consapevolezza. Ripercorrere i criteri con i quali Alessandro costruisce un'immagine è un modo per sentirsi partecipi di una sensibilità multiculturale.

Nella sua formazione artistica giovanile ha senz'altro avuto un forte peso Lando Landini, sia attraverso l'esempio pittorico che tramite l'apporto teorico-critico, ma ha pesato anche il confronto con artisti quasi coetanei, come Mario Carracciolo, con cui ha condiviso discussioni, esposizioni collettive e financo spazi di lavoro. Attraverso Landini scopre la possibilità di utilizzare il paesaggio in chiave antinaturalistica e tendenzialmente astratta, saturando i colori, cancellando i dettagli per giungere ad una sintesi geometrica ove il dato percettivo è solo un pretesto per creare una composizione equilibrata di forme colorate. Percorso questo che porterà alle armonie decisamente a-figurative degli anni successivi al 2018. Ma Lando gli ha fatto conoscere anche la pittura di Ennio Morlotti, della quale Alessandro apprezzerà soprattutto la componente materica e che lo spingerà, a più riprese, verso quelle stesure di ampie pennellate grasse, o di spatolature, ove gli steli di un campo di mais, scomposti dal vento si riducono ad una fitta texture di segni policromi ad andamento spezzato. E analoga-mente il variare delle stagioni, osservato all'altezza di un campo incolto, si traduce in colpi di colori ad andamento parallelo, come steli erbacei che le variazioni cromatiche ci suggeriscono alternativamente in germoglio, in fiore o in essiccazione.

Se negli anni '80 e '90 Alessandro aveva realizzato opere che potremmo classificare come paesaggi fauves, dove ninfee e piante fluviali specchiate sull'acqua sono riconoscibili, ma tendono a sintetizzarsi in poche pennellate, nel nuovo secolo questi paesaggi sintetici vengono ripresi come inserti entro partizioni geometriche. Il magma pittorico si fa trama di composizioni, spesso di impianto simmetrico, che sembrano evocare un'architettura d'interni al cui centro una finestra si apre su di un paesaggio "riconosciuto a memoria". È così tanta la confidenza con tali soggetti che diventa sufficiente un lacerto di iuta, uno straccio di balla, a suggerire un campo arato, ed una pennellata ondeggiante a ricordare i profili appenninici. A conferma che la memoria visiva è più forte della percezione retinica.

Frammenti di opere precedenti sembrano tornare all'interno di una nuova serie di composizioni rigorosamente geometriche, talvolta bipartite come un dittico, più spesso tripartite con forte prevalenza dell'elemento centrale. Si fa sempre più frequente la presenza della foglia oro, sia come componente metallica fredda, che si giustappone al calore e alla vitalità della natura evocata dalla policromia pittorica, sia come memoria della pittura pre-rinascimentale. Addirittura quelle sottili linee rosse che evidenziano, come dei contorni, lo stacco fra parti della composizione, sembrano voler richiamare alla mente particolari della pittura pre-giottesca.

Ripercorrendo il lavoro di Alessandro potremmo dire che le ricche policromie materiche degli anni di fine millennio, evocanti campi coltivati, si ponevano come continue improvvisazioni jazzistiche su un canovaccio dato da pochi accordi. Al confronto le misurate composizioni degli ultimi anni si propongono come esercitazioni di ricerca armonica, dove un tema si ripropone con varianti sviluppate come nella musica classica. In molte opere dell'ultimo decennio registriamo la prevalenza di un campo rettangolare ove pochi elementi regolatori scandiscono un ritmo ternario e convergono l'attenzione visiva su un riquadro centrale, anch'esso rettangolare ma invertito in senso orizzontale/verticale, e al cui interno forme e colori si muovono secondo regole organiche e non costruttiviste. Il tutto alla ricerca di un equilibrio di pesi e cromie che sembra empiricamente voler verificare tutti i fondamenti della gestalt o psicologia della forma. Alessandro non vuole applicare le regole classiche legate alla sezione aurea, non stabilisce le proporzioni delle geometrie che compongono le sue opere in base alla serie di Fibonacci, né in progressione geometrica o logaritmica, ma semplicemente per via intuitiva, consapevole che la storia, e la storia dell'arte in particolare, costituisce un bagaglio di esperienze imprescindibile a cui poter attingere, ma che il fluire della vita necessita di reinvenzioni continue. L'acqua che scorre non è mai la stessa, così come non lo sono le pannocchie di granturco che ogni anno arrivano a maturazione. E quando quella natura e quel paesaggio, che conosciamo da sempre credendoli permanenti, non si danno più, sostituiti irrimediabilmente da altro, la nostra esperienza ci deve guidare a ricostruire nuovi equilibri, memori di quelli trascorsi, ma inevitabilmente inesplorati.

Con il suo percorso pendolare tra sperimentazione e riscoperta del passato (personale e collettivo) Ciantelli esercita se stesso ad astrarre dal contingente per cogliere un senso più generale delle cose e viceversa cerca di utilizzare criteri di analisi e di operatività capaci di calare i valori di riferimento (estetici, ma anche etici e morali) in un contingente continuamente variabile per modificarlo incessantemente. Un invito, per noi, fruitori degli esiti del suo lavoro, a partecipare a questa continua ricerca di armonia con il fluire della vita.

Roberto Agnoletti