La definizione di “arte concettuale” applicata all’opera di Samuela Malizia rimanda, prima ancora che ad un indirizzo stilistico, ad un modo d’intendere la pittura come trascrizione visiva di un’idea espressa con immagini e parole o, per meglio dire, con il divenire parola dell’immagine e viceversa. Quella che viene a crearsi tra immagine e parola nelle opere di Samuela Malizia è molto più dell’integrazione di due elementi tra loro complementari: entrambe compongono un’unità visiva e di significato paragonabile alla struttura di una frase dove il colore, al pari della punteggiatura, scandisce il ritmo della lettura e riempie lo spazio lasciato vuoto dalle parole, offrendo una risposta al quesito posto da quest’ultime oppure introducendo altri livelli di significato. Si tratta, in altre parole, di “verbalizzare” il colore dipinto e di rendere “pittorica” la parola, creando così un’arte da leggere sia sul piano visivo, di per sé più immediato e diretto, che su quello connotativo della scrittura. L’intento non è quello di destabilizzare l’osservatore con stimoli diversi sebbene in questo caso unitari, ma al contrario di offrirgli un’esperienza percettiva e mentale allo stesso tempo, restituendo valore ad immagini e parole in un’epoca che ha svilito entrambe nell’uso-abuso della comunicazione massmediatica. Un connubio talmente forte che si avverte anche quando la parola non appare dipinta sulla tela, ma fa sentire nondimeno la propria presenza nelle stesure uniformi del colore, proprio come un’idea ancora in nuce, in potenza, che attende l’osservatore per rivelarsi.
[Daniela Pronesti']